potature e contestazioni

Il giardino è altro dalla natura.

E’ la relazione fra natura e uomo, nella altalenante storia di esercizio di supremazia e potere.

Ma certamente non è, come la natura, atto a prescindere dall’uomo e dalla sua costante cura.

Il giardino serve all’uomo, nella sua originale definizione di “bello e utile” espressa  dal primo Giardiniere in occasione della sua creazione del giardino di Eden.

Così mentre la natura sta,algida e distante nella sua bellezza assoluta e al piccolo uomo che la osserva dovrebbe suscitare rispetto e timore, il giardino diventa, sotto le mani e gli occhi amorosi del giardiniere, e non fa mai paura, anzi ha valenza consolatoria, quasi memoria della antica promessa di far ritorno a Eden.

La potatura è una pratica agronomica, attinente quindi alla relazione uomo-giardino, non alla natura. E in quanto legata a tale relazione deve rispondere al fine di “bello e utile”.

Ora il problema è che l’attuale tendenza a “purezze filogenetiche”ci ha imposto  bulimicamente l’utilizzo puramente estetico di essenze che da millenni hanno invece fondamentalmente una radicata dignità produttiva. Per quanto bello, un olivo è per sua storia un albero da frutto. E dunque non è anormale che un contadino lo poti in funzione della efficacia produttiva. Magari ci si dovrebbe interrogare sulla opportunità di far eseguire potature dei parchi pubblici ai contadini; ma subito dopo bisognerebbe chiedersi cosa farsene, allora, degli obsoleti inutili contadini e della loro sapienza antica e poco “filogenetica”, così distanti dalle moltitudini di tuttologi che ci sono in giro.