perché vanga e rastrello

Il complimento più gradito che mi sia mai stato fatto è: Come assomigli al tuo giardino…
Perché dopo oltre 20 anni di prove di forza fra di noi, 20 anni in cui io non sono stata buona a mettere le briglie ai miei sogni e lui non ha mai smesso di insegnarmi la pazienza, finalmente cominciamo a riconoscerci l’uno nell’altra. E l’amato disordine, volutamente costruito, quello che il mio compagno Salvatore chiama con orrore “l’effetto-giungla”, non è che l’immagine del disordine che è dentro il mio cuore, che rimane inquieto e tumultuoso incurante dell’età.
A 30 anni decisi che era ora di tentare di diventare finalmente ciò che desideravo, una buona figlia, una buona mamma, una buona compagna, e che mi avrebbe aiutato un giardino, cioè la costruzione lenta e paziente di una cosa attraverso cui scrivere la mia storia e la mia anima; insomma, per vivere ho presuntuosamente scelto la forma di eternità che è piantare un giardino.
Dunque, in origine era una porzione dell’antico agrumeto di pertinenza della Villa Giuseppina, nobile austera presenza risalente al 1792, probabilmente progettata dal Vanvitelli. Poi… folata di vento, gli sono toccata io. Intorno al 1985 ho cominciato a comprare i primi alberi, con pochi soldi e molto entusiasmo, divertendomi a cercare qua e là essenze non consuete, come la Sequoia Gliptostroboides e la Pawlonia Imperialis. L’intento era delineare delle “stanze all’inglese“, giardini uno dentro l’altro; ma la passione collezionistica non conosce limiti né stanze, e oggi direi che, con poche eccezioni, non sono riuscita a costruire le desiderate “stanze delle emozioni“, forse piuttosto una sequenza di “quadri“, spesso sfalsati nei periodi di massima fioritura.
Eccezione magari potrebbe considerarsi il labirinto delle rose, progettato nei colori del cielo al tramonto, porpora, giallo e arancio, inteso come il ritratto di una lieve e gioiosa età matura, un “viale del tramonto” che porta, pur nascondendo qualche difficoltà, all’amatissima “serra delle parole“, luogo calato nel verde, traboccante dei miei carissimi libri. Questa biblioteca si affaccia a Nord su un prato rustico, dove fa bella mostra di sé un laghetto con fiori di loto e ninfee. Quale ansia del cuore può sopravvivere a un po’ di tempo trascorso a osservare le carpe giocare sotto le foglie di ninfea?
Di qui, attraverso piccoli passaggi, scalini sghembi e serene fioriture mediterranee, dopo l’incontro con lo “spirito del giardiniere” che sonnecchia sotto un gelsomino, si arriva alla Serra grande: sognavo una serra invasa da foglie grandi, grandissime, dove sentirsi un po’ Mignolina. Così ho piantato le Muse, le Heliconie, vari Philodendron, la Tetrapanax Papyrifera, Alocasie e Colocasie… ma poi come resistere alle fioriture di Petrea Volubilis, Passiflora Quadrangularis, Aristolochia Gigantea? No no, resistere alle tentazioni non è fra le mie virtù, e allora dai, tutti insieme appassionatamente… e, “solo per placare il cuore”, un Budda della serenità proveniente da Burma sorride dalla sponda della bella fontana a doppia caduta d’acqua realizzata da Salvatore.
A chi dopo questo fiume di chiacchiere avesse ancora voglia di venire a visitare il mio giardino, devo un’ ultima nota: è vistosa la mia passione per il blu nel giardino, ed è filo conduttore che lega il giardino da cui provengo, un terrazzino dove mia madre coltivava serena i suoi Iris Heavenly Blue, e il giardino che forse domani io sarò…